Uno, Cento, Mille... Westie
La campagna londinese era coperta di nebbia. Una nebbiolina fitta e grigia che trasmetteva tristezza e malinconia, ma anche una certa dose di magia e mistero. La nebbia era talmente fitta che Lara restava sempre sorpresa nel sentire il rumore del treno che si avvicinava, poiché del treno non vi era alcuna traccia, ancora nascosto alla vista.
Questo era il paesaggio che ogni mattina Lara vedeva mentre sorseggiava la sua tazza di buon caffè, seduta tranquilla al tavolino rotondo nella piccola nicchia di fronte alla finestra.
Finito il caffè la ragazza si preparò per uscire e svolgere le commissioni abituali di ogni sabato mattina. Gita alle poste per pagare le bollette, in banca a prelevare un po’ di soldi, supermercato per la spesa settimanale, e poi un pochino di svago nei negozi di seconda mano alla ricerca di libri usati.
Ma quella mattina le cose sarebbero andate diversamente.
Erano giorni, anzi settimane, che Lara ci pensava. Forse addirittura mesi. Voleva un cane.
A trattenerla era sempre stata la preoccupazione di non avere un giardino privato in cui lasciarlo correre e giocare, ma quella mattina qualcosa ebbe il sopravvento.
Voleva un cane. Un cane a cui dare affetto...
(Rif. Pagina 59)
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Hope
Il momento era giunto. Non era più possibile aspettare oltre, a breve i cuccioli sarebbero nati. Quando la decisione era stata presa lei era stata la prima a proporsi, magari solo un mese prima non ne avrebbe avuto il coraggio ma ora... non voleva che i suoi piccoli rivivessero tutto quello che lei stessa aveva provato. Non riusciva a ricordare nemmeno come fosse giunta in quel luogo triste e spoglio, dove non c’era nessuno ad occuparsi veramente di loro.
I suoi primi ricordi si perdevano lontano, in un tempo che a lei pareva nascosto in un angolo della memoria. Di notte spesso rivedeva le immagini di un viaggio attraverso terre fredde, con altri come lei, ammassati in miseri scatoloni di cartone dove alcuni morivano senza neppure la forza di un guaito, sfiniti dalla fame, dal freddo e dalla paura. Poi finalmente erano giunti in quel luogo, che lei aveva sperato fosse terra di liberazione ed invece si era rivelato una prigione.
Non che venisse trattata male, ma non era possibile che la vita vera fosse quella, chiusa in una gabbia e non le permetteva neppure di vedere la luce del sole. Gli umani (ma quegli esseri si potevano davvero definire uomini?) dicevano che la loro vita era importante, che quello che facevano in quel luogo poteva servire per far vivere meglio altri come lei, ma non poteva credere che fosse vero, quando sapeva che là fuori c’era un mondo dove i cani erano liberi di correre e giocare....
(Rif. Pagina 72)
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C`è un grande prato verde...
Il piccolo cane bianco se ne stava un po’ in disparte, mentre gli altri cani lì intorno saltavano e ruzzolavano sul prato verdissimo, giocando a rincorrersi e fingendo di lottare. Ce n’erano di grandi e piccoli, alcuni di taglia gigante, altri minuscoli, per lo più adulti e anziani, ma c’era anche qualche cucciolo, che trotterellava ancora poco sicuro sulle zampe. Per la verità, negli ultimi tempi ne arrivavano sempre di più, di cuccioli, e vederli giocare tra loro metteva allegria: formavano degli inestricabili grovigli di codine, zampette, musetti, in perenne movimento.
Il piccolo cane bianco non aveva voglia di giocare con loro; non ancora.
Per il momento si accontentava di guardarsi intorno e il suo grosso tartufo nero aveva le narici dilatate, tese a catturare un odore conosciuto in quel tripudio di odori nuovi, ancora tutti da scoprire.
Si sedette, poi si stese a terra, sentendo l’erbetta fresca sotto di sé, morbida e leggermente umida della rugiada mattutina ancora non del tutto evaporata. Sulla schiena, invece, avvertiva già il calore del sole che splendeva sicuro, in quel cielo primaverile senza una nuvola, che sembrava l’avessero lavato per quanto era limpido...
(Rif. Pagina 117)
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