Piangere la propria morte
Si alzò lentamente, e a metà altezza si trovò di fronte a due piante di piedi. Poi, continuando a drizzare la schiena, vide due gambe, una pancia, un viso. Si trovò di fronte al suo cadavere, con lo stesso pigiama. Il viso era contratto in una smorfia di dolore, gli occhi ancora semiaperti, le braccia distese, allineate con il corpo.
“Dio mio, Dio mio santissimo!” lamentò, piangendo, sempre piangendo. Avanzò lentamente lungo il perimetro del tavolo, osservando il lenzuolo che vi era stato messo come tovaglia, sulla quale avevano adagiato il suo corpo senza vita. Si trovò, ora, di fronte alla testa. Accarezzò i capelli, singhiozzando. Come fosse stata una sorella, una figlia, una mamma. Non aveva mai sentito, quand’era in vita, di qualcuno che avesse pianto la propria morte.
(Rif. Pagina 59)
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Quella sagoma alla finestra
“Che succede? Serena guardami, che succede?!”
Tremava, tremava tantissimo, senza mai distaccare gli occhi da quel punto. Poi mi indicò la finestra.
“Là…”
Mi voltai e non vidi nulla. Corsi verso la finestra. Nulla.
“Chi c’era? Cos’hai visto?”
“Quella… quella sagoma! La stessa!” E riprese ad urlare, più terrorizzata che mai. Ma non vidi nulla, e fui mortificato da questo. Non mi persi d’animo, a sangue freddo afferrai un pun-teruolo in ferro che usavo per la legna, aprii la porta e uscii in cortile.
Percorsi a passi sveltissimi tutta la superficie, senza sentire il gelo sotto i miei piedi nudi.
“Dove sei? Chi c’è?!” Urlai, ma nulla e nessuno si mosse, né rispose. Mi avvicinai al cancello, il lampione della strada bastava ad illuminare un buon raggio di distanza, ma non vidi nessuno.
(Rif. Pagina 92)
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La donna
Chiusi la porta. Non ci pensai troppo, feci dietro-front e fui in procinto di correre su per le scale, da lei. Da Elisa. Che bel nome, Elisa. Mi fermai. Era quell’oscura signora. Proveniva dal buio, lentamente, senza espressioni. Tornai indietro e riaprii la porta. Mi feci da parte e la osservai. Aveva capito, doveva uscire. Si avviò dunque verso l’uscita, verso il sole del mattino. Prima di infilare la porta, però, si voltò verso di me e mi fissò, ricambiata da me. Non so dire se in quello sguardo rosso e inanime vi fosse qualche messaggio, in ogni caso non lo notai. La Morte uscì ed io richiusi la porta alle sue spalle.
(Rif. Pagina 140)
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Quella persona mi ha rovinato
Coraggio. Imbocco il corridoio, tengo lo sguardo verso il basso, non devo guardare. Devo resistere. Qualche passo ancora. Non resisto, sollevo la testa. Eccolo. In fondo al corridoio, puntuale, mi segue con lo sguardo. Cerco di forzare un sorriso, ma non riesco. Oggi mi guarda con odio. Ce l’ha con me, ora ne sono convinto, ha lo sguardo rabbioso, gli occhi lucenti, la bocca stretta, come stringesse i denti. Bastardo! Ora sei tu che mi odi?! Accelero il passo, lo devo affrontare. Lui fa altrettanto, viene verso di me, velocemente. Cosa ti ho fatto?! Infame! Lo colpirò con il mio ombrello, gli farò male, gli caverò quegli occhi, non mi dovrà più guardare. Sono ad un passo da lui. Lo colpisco.
Lui risponde!
(Rif. Pagina 149)
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