Rapina a luci rosse
“Dice che verso le undici e mezza sono entrate quattro ragazze. Le hanno notate tutti, perché erano mozzafiato: alte, slanciate, brune, tipo modelle. Indossavano un miniabito di pelle nera con cerniera sul davanti, mascherina ornata di piume che ne nascondeva i lineamenti, guanti di pizzo nero, tacchi a spillo. Al braccio, un capace borsone di vernice rossa. Si sono schierate al centro ed hanno inscenato una danza acrobatica assai risqué [...]
“Una urla ‘olé!’ e tutte assieme si slacciano la cerniera lampo, gettano via i vestiti in una mossa coreografata, rimanendo in biancheria nera di pizzo.
“Mentre il pubblico se ne sta a bocca aperta, le quattro sgomitano agli sportelli ed a gesti ordinano ai cassieri di riempir loro i borsoni di bigliettoni.
“Nessuno reagisce, anzi tutti alzano le mani, congelati sul posto da paura ed incredulità, anche se le ragazze non avevano armi.”
“Non erano necessarie.” intervenne il direttore massaggiandosi il testone calvo: “La bellezza è di per sé un’arma letale.” tirò un sospiro da intenditore.
John continuò: “Una delle impiegate, che ha il suo cubicolo dietro una colonna, svita la gamba della sua scrivania che era traballante. Brandendola come una mazza, si lancia sulle ladre, intimando loro di fermarsi. Una delle clienti, incoraggiata dal gesto, si riscuote dallo stupore e la asseconda.
“L’impiegata riesce ad assestare un bel colpo ad una delle ladre, ma a quel punto una complice si toglie il reggiseno e la aggredisce, legandoglielo al collo. Le affonda il ferretto nella carotide, e senza pietà la sgozza. Un’altra fa lo stesso con la sfortunata cliente. Nessuno più osa muoversi.
“Poi raccolgono i borsoni colmi, si rimettono i vestiti, ma non i reggiseni, e scappano via, tentando di strangolare anche la guardia giurata che sbarrava loro l’uscita, ma non ci riescono, perché aveva la cravatta ben stretta sotto il colletto. Riescono però a sottrargli la pistola scacciacani.”
(Rif. Pagina 27)
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Sacerdote supremo del dio del rock`n`roll
Tese le braccia al cielo. Sparò un colpo in aria. Riecheggiò lugubre. Uno stormo di piccioni, risvegliati nel primo sonno, sorvolò il teatro. I gabbiani schiamazzarono dai loro nidi tra gli alberi. Ci furono alquante urla in platea.
Anche il Maharaja sfoderò una pistola. Corse alla punta della passerella, e tenne sotto tiro il pubblico, che si sedette e se ne restò in silenzio.
Nell’auditorio, si udiva solo il gracidío delle rane, disturbate dallo sparo.
“Che faccio, Kay?” mi gracchiò Brian nell’auricolare.
“Chiedi al Commissario.” bisbigliai. Il Maharaja era giusto sopra di me.
Per fortuna, il suo sguardo spaziava lontano e non mi vide.
Scivolai con cautela verso un folto cespuglio che mi coprisse.
“Io ho qualcosa da obiettare!” tuonò una voce dall’orchestra.
Tutti gli sguardi si volsero all’altro lato dello stagno. Alit puntò la pistola verso l’ombra che aveva parlato. John era in piedi con le braccia aperte, ed una bottigliona di birra in ciascuna mano: “Le acque dell’Eden non sono più pure! Il vostro sacrifizio non è gradito a Tanit!” cosí dicendo, le vuotò nello stagno, che spumeggiò e diffuse nell’aria l’odore acre di birra calda.
“E chi saresti tu, di grazia?” Alit si portò la mano a visiera sugli occhi.
“Long John Silver, sacerdote supremo del dio del rock’n’roll.”
(Rif. Pagina 118)
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Porpora e porporina
Gli diede un bacetto, si riprese la corona, e risplendette in tutta la sua gloria di sweetheart mediterranea, nel suo abito da sirena color porpora, e la fascia bianca con l’iscrizione Miss Mediterraneo in porporina dorata.
Porpora e porporina. Sexy, abbagliante e sanguigna come la mia indagine.
Probabilmente i giornali l’indomani avrebbero titolato a caratteri cubitali: Crimson crimes, Dying in purple dye e persino Poised to poison .
John attaccò a suonare la sua originalissima Miss Med, e si uní alle Miss, con la speranza d’esser baciato da un’altra donna più bella del mondo.
“Zio?” mi stupii “Cindy è tua nipote?!”
“Acquisita. Cosa vuoi, siamo quasi tutti parenti a Rocky Cape.”
Mi tolse la corona di Miss Pianeta Terra e la restituí alla proprietaria, che in cambio mi ridiede il mio berretto. Me lo calcai sul capo, permalosa.
Cox la prese a braccetto e, con un sorriso smagliante, la invitò a pranzo.
Sgattaiolarono dalla porta laterale, parlottando come vecchie conoscenze.
“Ma guarda che faccia tosta! Senza neanche salutare!” mi irritai.
(Rif. Pagina 137)
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