Perchè "la meta è la strada"?
“La meta è la strada” è il motto che mi accompagna da quando guido la Gold Wing. Riassume il senso del mio andare in moto; è riportato nella mia firma in tutti i forum di motociclismo che frequento su internet, oltre che nel mio sito www.gold-wing.it.
Non so chi ha detto per primo questa frase (forse Budda); chiunque sia stato, il significato che io attribuisco è che, nel mio modo di andare in moto, la cosa più importante non è il punto di arrivo, dove voglio arrivare, ma la strada che percorro, cioè come ci arrivo.
Questo sotto diversi aspetti.
Innanzi tutto, quando voglio raggiungere una località, ci voglio arrivare in moto. Mi interessa poco arrivare in un luogo, sia pure bellissimo e molto interessante, non in moto. Voglio arrivarci percorrendo la strada con la mia moto, gustandomi ogni momento del percorso.
L’altro aspetto è che, in fondo, di un viaggio la parte che mi interessa di più non è la meta finale, ma la strada percorsa per arrivarci.
Che senso ha, infatti, arrivare in un posto “catapultati” da un comodo aereo, scendere, fare le foto e tornare a casa con lo stesso mezzo (come i turisti giapponesi che vedevo a Capo Nord)? Poco; almeno per me.
Quando realizzo un viaggio in moto, è dal percorso che io traggo il massimo piacere; è questo che desta in me il massimo interesse. Il percorso per arrivare alla meta “formale” non è mai un puro e semplice “trasferimento”.
È nella strada, per me, la vera essenza del viaggio. Negli incontri che, soprattutto per chi viaggia in moto, sono inevitabili, quotidiani; nelle sorprese che possono capitare in ogni momento; nelle difficoltà che devo superare; negli imprevisti, positivi o meno; nei luoghi che vedo per arrivare in un altro posto; nelle montagne valicate, le valli percorse, i fiumi superati, le città attraversate.
La strada per arrivare alla meta me la voglio guadagnare metro per metro, voglio scoprirla, gustarla, assaporarla.
(Rif. Pagina 5)
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Capo Nord a modo mio (10.000 km in 10 giorni)
Tra un mese (il 16.6) partirò per il viaggio più lungo che abbia mai intrapreso, uno dei viaggi più lunghi che un motociclista possa affrontare :Capo Nord. Da Lecce sono circa 10.500 km (a/r). In 10 giorni, da solo, in tenda. Ovviamente in moto.
Perché? Ho deciso di partire, di andare a Capo Nord,semplicemente perché questo è il più lungo viaggio che possa fare, partendo da casa mia, senza uscire dall’Europa, potendo contare quindi su una buona rete stradale; il più lungo senza prendere traghetti, garantendo così al viaggio, come l’ho concepito, un continuum spazio-temporale che un trasbordo del mio mezzo di trasporto (la moto) su un traghetto avrebbe interrotto.
…
L’itinerario programmato è il più breve possibile: Italia, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia: poco più di 5.000 km. Poiché non mi va di fare la stessa strada sia all’andata che al ritorno, ho deciso di passare (all’andata) dalla Norvegia invece che dalla Svezia: …Totale quindi 10.500 km. Ma in quanto tempo?
Io intendo compiere questo percorso nel minore tempo possibile: prevedo 10/11 giorni. Perché?
Certo, sarebbe possibile prendermela comoda: visto che voglio arrivare fino a Capo Nord, tanto varrebbe visitare mezza Europa, allungando il percorso a piacere, zigzagando da un paese all’altro, dilatando i tempi, prevedendo anche giornate intere per visitare per bene e con calma le città e i posti più interessanti dell’itinerario.
…
ma, in fondo, preferisco così. Come ho detto prima, ho deciso di andare a Capo Nord perché questo è il più lungo viaggio che possa fare, partendo da casa; quindi non ho deciso di farlo perché Capo Nord è bello, anche se questo certo mi fa piacere; non perché attraverserò luoghi interessanti; non per gli eventuali, probabili, incontri durante il percorso. Se Capo Nord fosse alla fine di un lungo, interminabile, piatto, noioso deserto, ci andrei lo stesso, perché quello che mi interessa è il viaggio in sé.
(Rif. Pagina 19)
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Arrivo a Capo Nord
Sono a disagio: nel parcheggio arrivano frotte di turisti su pullman granturismo. Turisti di tutto il mondo. Ne è pieno il centro visitatori; c’è ressa anche per comprare le cartoline. Chiasso, voci, rumore. Dopo 5 giorni di pace.
Mi giro e vedo un sorridente turista giapponese con l’immancabile macchina fotografica in mano.
Basta! Non ce la faccio più. Un ultimo sguardo alla nebbia e al sole che si intravede (poco) e torno alla moto. La guardo. Sembra dirmi: ma dove mi hai portato! È coperta di terra: ne ha presa più in queste 2 ore che in oltre 5.000 km da casa a qui (sono stati esattamente 5.467).
Decido di andarmene; di andare nei dintorni a cercare un posto “decente” e un campeggio. E il sole di mezzanotte? A parte che di sole qui ora ne vedo ben poco, sono due giorni che sulla mia testa il sole non tramonta mai, il sole di mezzanotte l’ho già visto la notte scorsa, lo vedrò la prossima e oggi lo posso vedere meglio lontano da qui.
Via! Lontano dalla folla e dalla natura sfregiata dall’uomo. Sono le 23. Riparto per la strada appena percorsa. Appena fuori dal Capo (appena 1 km) l’ammasso di nebbia e terra finisce immediatamente e, con uno splendido sole che mi riconcilia col mondo, continuo verso sud.
Dopo 13 km vedo un campeggio ai bordi della strada: è segnato sulla cartina nella località di Skardsvag. Sistemo subito la tenda, mangio un panino preparato dal titolare. Il termometro segna 3°, ma c’è un bel sole e, soprattutto, tanta calma. Niente pullman, niente torme di turisti. Siamo qualche tenda, alcune hytte di legno, sul pendio di una collina con qualche chiazza di neve.
È mezzanotte. Faccio due passi. Non c’è nessuno. Mi incammino verso una collinetta a nord: il sole è ancora più alto della collina, e non scende più! Ecco il mio sole di mezzanotte, nell’isola di Mageroya, latitudine 71° 6’, 9 km a sud di Capo Nord!
Vado a dormire.
(Rif. Pagina 41)
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Perché vai in moto?
Cosa posso rispondere a chi in moto non ci va? Come posso spiegare che chiedermi perché vado in moto è come chiedere a un non motociclista perché cammina, perché va in auto, perché mangia, perché respira?
Come posso spiegare le sensazioni che provo andando in moto, in un giorno di sole con la temperatura mite e il vento che accarezza la mia pelle, o in una giornata di freddo e pioggia, con l’acqua che sferza il mio giubbotto tentando di superare il sottile strato di pelle che mi isola dall’ambiente esterno?
Sia su un passo di montagna, selvaggio e solitario, che nelle tranquille passeggiate per le terre di casa mia. Tanto su una strada piena di curve, quanto sui lunghi rettilinei.
Come posso? Non posso, forse. Certe cose, per capirle davvero, probabilmente è necessario provarle sulla propria pelle, non basta ascoltare delle spiegazioni.
“Ma è pericoloso”, spesso insistono.
Sì, lo ammetto: andare in moto è pericoloso, più che andare in auto.
Lo è comunque, anche se si adottano tutte le possibili precauzioni: non c’è casco, tuta di pelle, protezioni omologate ai gomiti, spalle, fianchi e schiena, airbag che possano portare il livello di sicurezza passiva di un motociclista a quello goduto da un automobilista. È inutile illuderci, è così.
Questo l’ho accettato da tempo e, forse anche per questo, non mi pongo tanti problemi.
Ma può il livello di pericolosità di un’attività indurci a non svolgere quell’attività? No, almeno entro certi limiti.
Credo che dobbiamo accettare il fatto che la pretesa alla assoluta sicurezza di ogni attività umana è una pura illusione che, anziché semplificare la vita, la complica oltre ogni ragionevole misura.
Non possiamo vivere sempre con l’incubo che quello che facciamo è pericoloso: credo che, posti certi ragionevoli paletti, ad ognuno debba essere lasciata la libertà di cosa fare della propria vita, la libertà, anche, di metterla a rischio, consapevolmente, svolgendo un’attività che gli piace. Altrimenti non si vive più.
(Rif. Pagina 79)
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Partenza per l`Islanda. 2.704 km in 24 ore
Mentirei se dicessi che, il giorno prima della partenza per l’Islanda, tutti i miei pensieri sono rivolti al viaggio in quella terra, alle cascate, ai geyser, ai ghiacciai, ai vulcani.
Certo, ci penso, non vedo l’ora di ammirarli, ma, forse perchè il primo (temporale) obiettivo che mi sono posto è un altro, adesso il primo pensiero è diverso.
Sto pensando al primo giorno del viaggio, all’obiettivo che mi sono prefisso: le 24 ore in moto, per circa 2.500 km (poi saranno 2.704).
Oggi finisco la preparazione e domani … dormo.
Stavolta, a differenze delle precedenti “tirate” (sia pure non di 24 ore), arriverò al momento della partenza fresco e riposato.
Poi si vedrà.
Come ho scritto altre volte, mototurismo è tante cose; è anche, secondo me, questo.
C’è un tempo per ogni cosa; e questo, per me, è il tempo di fare questa cosa.
Qo 3,1 (Ecclesiaste/Qoelet): “Nella vita dell’uomo, per ogni cosa c’è il suo momento, per tutto c’è un’occasione opportuna”.
…
Giro la chiave e il motore si avvia. Via! Verso l’Islanda! È mezzanotte in punto: oggi mi fermerò solo a mezzanotte.
Come si possono raccontare 24 ore di moto? Come si possono anche solo spiegare a chi magari motociclista non è, o il motociclismo lo intende in altro modo?
Come posso rendere partecipe il lettore dell’impulso irrefrenabile, dell’entusiasmo, del fuoco che sento dentro di me in questi momenti?
In un attimo scompaiono le fatiche, i timori, i dubbi, le preoccupazioni.
In un attimo scompare tutto e sono solo io e lei; lei che mi porterà in cima al mondo, che per me valicherà montagne e supererà mari, che per me farà battere il suo cuore per 24 ore.
…
Alla tenue luce del crepuscolo attraverso l’isola di Sjaelland, supero Copenaghen e, ormai al buio, l’ultimo ponte-tunnel, sull’Oresund, verso la Svezia.
Il noto profilo della costa svedese mi accoglie poco prima della mezzanotte:
…poco dopo Malmo, mi fermo alprimo motel che trovo.
È fatta. 2.704 km in 24 ore. Da Lecce alla Svezia in un giorno.
(Rif. Pagina 185)
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