LA GUERRA IN TERRA DI RUSSIA DI UNO STAGNINO DI MARRADI
marco cappelli
I fatti che gli erano successi nella guerra di Russia, mio padre, me li ha raccontati fin da bambino. Ricordo che non camminavo ancora quando la sera, prima di dormire, mi portava nel suo letto e mi parlava di battaglie, di carri armati, di cannoni e mitragliatrici. Mi parlava di sciatori con il mitra e di cosacchi a cavallo con il loro cappello. Cappello che lui, al ritorno dalla guerra, ha portato tutti gli inverni, per tutta la vita. Mi piacevano tanto le azioni del suo battaglione, quello dei lanciafiamme, che aspettavano, nascosti ai bordi della strada, i carri armati dei nemici poi, al segnale del capo, riempivano l’aria di fuoco, bruciavano l’ossigeno e i russi, per non morire soffocati, uscivano con le mani alzate. Ero affascinato da questi racconti, li volevo ascoltare tutte le sere. Mio babbo vinceva sempre, ero orgogliosissimo di lui, lo raccontavo a tutti e mi piaceva farmi grande con gli altri bambini. Poi una sera mi disse che aveva perso la guerra, mi disse che gli italiani ne avevano buscate tante ed erano stati sconfitti, annientati. Il Corpo di Spedizione Italiano (C.S.I.R.) di battaglie in Russia ne aveva vinte tante davvero, erano le battaglie dei primi sedici mesi di guerra, dell’avanzata al fianco delle armate tedesche fino all’autunno del 1942. Quando fui un po’ più grande mi raccontò anche gli aspetti più dolorosi, mi parlò degli scontri in prima linea sul fiume Don, del suo ferimento, della tragica ritirata in un clima infernale, di migliaia e migliaia di persone morte in un deserto di neve, per il fuoco del nemico, per il freddo e per la fame...
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