La distruzione dello storico Caffè Vacca
Durante la notte del 14 luglio, pochi giorni dopo l`invasione della Sicilia, i B-17 americani tornarono prepotenti su Napoli per strappare via un ulteriore pezzo di storia partenopea, e italiana, colpendo la bella Villa Comunale e distruggendo completamente lo storico Caffè Vacca, il vecchio ritrovo ottocentesco a pochi passi dal Chiostro della musica, struttura che aveva visto passare nei suoi locali i più bei nomi dell’arte e della cultura europea. Roberto e Mariano Vacca, due imprenditori che avevano operato con successo nel campo del caffè, legati alla prospera apertura di altri locali importanti di Napoli, come il notissimo Caffè Gambrinus, a fine ottocento avviarono questo locale ubicandolo nella Villa Comunale. Il Caffè Vacca, pur non essendo un vero e proprio caffè letterario, operò come un ritrovo per famiglie della media borghesia che si riunivano, proprio la domenica, per ascoltare i concerti bandistici nella Villa Reale, alla ‘Cassa Armonica’, diretti dal famoso maestro Raffaele Caravaglios, trascorrendo piccoli attimi di tregua o miracolose giornate di festa insieme ai bambini. Nel suo interessante libro I caffè napoletani, lo scrittore Erminio Scalera ricorda che le immagini dello storico locale, prima della sua sfortunata distruzione, sono fissate nelle vecchie pellicole d`inizio secolo:
«... il Caffè Vacca venne impegnato come sala di posa per i primi film muti che si giravano a Napoli con Francesca Bertini e Leda Gys...»
Il 17 luglio il Corriere di Napoli scriveva che «...un cumulo di macerie è oggi al posto dove [...] vivacchiava l`ultimo caffè della Napoli ottocentesca. [...] A pochi passi anche il Chiostro della Musica [...] rivela i segni della distruzione.[...] Insieme con la fontana delle "paparelle", con la carrozzina trainata dalle caprette, con il galoppatoio e la Cassa Armonica, il caffè Vacca, come il Gambrinus, rappresentava un`istituzione napoletana...».
(Rif. Pagina 119)
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Arriva la Divisione Göring
<<...Il furbo cacciatore Hermann [Göring], mentre si avvicinava la prevedibile rovina, durante la festa per il suo cinquantunesimo compleanno mostrava senza remore e con un orgoglioso sorriso la stupenda Danae di Tiziano, meravigliosa tela custodita precedentemente a Capodimonte. [...]Se nel 1939 Göring possedeva solo 200 oggetti d`arte, al momento del suo arresto gli Alleati inventariarono, nella sua grandiosa collezione, più di 2000 oggetti, tra cui 1375 quadri, alcuni dei quali, di elevatissimo pregio, usati come capoletto nel suo Castello di Carinhall in Brandeburgo. Oltre ai dipinti, il Reichmarschall aveva però accumulato anche 250 sculture, più di 100 arazzi, circa 200 pezzi di mobilio antico, vetri mosaicati, tappeti persiani e centinaia di piccoli oggetti preziosi di grande rilevanza artistica. Purtroppo, diversi oggetti della collezione provenivano da quella barbara operazione di saccheggio iniziata a Montecassino, trafugati, quindi, dai tesori di Napoli. Quel sorriso beffardo sarebbe durato fino alla cattura e al suicidio del 1946 a Norimberga, quando la festa del 12 gennaio `44 era oramai solo un ricordo sbiadito e senza più vita...>>
(Rif. Pagina 326)
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La Chiesa di Santa Maria della Catena e la leggenda di Teresa e Ricciulillo.
<<...Nella zona di Santa Lucia, inoltre, furono centrate la parrocchia rionale e soprattutto la Chiesa della Madonna della Catena, conosciuta anche come Santa Maria del Porto, edificata nel 1576 grazie ai fondi versati dai pescivendoli di questo borgo marinaro. Se numerosi rifacimenti ne cambiarono l`aspetto nel corso dei secoli, vari avvenimenti e presenze leggendarie ne caratterizzarono l`aspetto folkloristico e religioso rispetto alle altre chiese del territorio partenopeo. L`elemento più noto è sicuramente la presenza della tomba dell`Ammiraglio Francesco Caracciolo, ivi sepolto dopo la condanna a morte del 29 giugno 1799 per ordine di Nelson, l`Ammiraglio inglese arrivato a Napoli per sedare la rivolta filo francese contro i Borbone. Più in secondo piano resta la strana scomparsa dell`originario quadro della Madonna della Catena, e forse giacciono quasi del tutto dimenticati i motivi che legano questo luogo di culto a Palermo, e, ancor più, ad una tragica storia d`amore locale. La prima leggenda, in particolare, narra della condanna a morte di due pescatori a Palermo, nel lontano 1390, miracolati dall`apparizione della Vergine Maria che li avrebbe liberati spezzando le catene prima dell`impiccagione, e che poi avrebbero iniziato la diffusione del culto importandolo proprio dalla Sicilia. A questa versione, però, fa concorrenza la più toccante e suggestiva leggenda della giovane Teresa e dell`amato Ricciulillo, un pescatore sommozzatore allontanato dalla ragazza con diversi malefici e sotterfugi, fino al più tragico e classicheggiante degli epiloghi con la morte congiunta dei ragazzi, consacrata dall`improvvisa apparizione di un quadro della Vergine avvolto da una luccicante catena, da cui sarebbe poi partita la volontà di creare il luogo di culto.>>
(Rif. Pagina 133)
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24 agosto `43. La seconda tragedia di Pompei.
<<...I danni inferti all`area archeologica, come confermato anche da Radio Londra pochi giorni dopo il deplorevole attacco, erano da attribuire alla presenza di un comando tedesco in un albergo vicino Porta Marina, questione dibattuta ancora oggi perché esso sostanzialmente non esisteva [...]. Così, se Radio Londra giustificava lo scempio promettendo che non si sarebbe mai più ripetuto,affermazione ancora una volta falsa, nella realtà dei fatti l`area archeologica aveva subito danni al Macellum, al Tempio di Giove, alle Terme, ai granai del Foro, alla Mensa Ponderaria, al Teatro Grande e alla Palestra Sannitica, e dalla stessa mappa si osservava una sostanziale copertura a tappeto del sito con danni più o meno gravi ovunque. La grottesca considerazione, su questo ed altri bombardamenti, è tutta contenuta negli stessi report americani, e ancor più nel Final Report dell`AMGOT, cioè del Governo militare alleato dei territori occupati, nel quale praticamente si legge che gli ordigni caduti su Pompei furono «... duecento bombe sprecate... ». Sostanzialmente, tra le righe, gli stessi report angloamericani ammisero che tranne i danni al nostro patrimonio archeologico, le bombe non furono utili a nessuna questione militare. [...] L`unico risultato, accertato, restava la deturpazione di un patrimonio storico che non apparteneva esclusivamente al nostro Paese, ma all`intera umanità...>>
(Rif. Pagina 146)
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La guerra dei "coppini"
<<...Ma la Patria chiamava in causa anche le casalinghe, donne che senza quasi rendersene conto si ritrovarono a dover donare perfino casseruole e pentole di rame, un indispensabile corredo domestico necessario alle attività quotidiane, ancor più necessario se si pensa che le donne italiane spesso ne inventavano una più del diavolo per cucinare un pasto caldo alla famiglia. Ma se per le fastidiose targhe in ottone, presenti negli eleganti androni dei palazzi partenopei, vi era una ricompensa morale con la consegna di un bel cartoncino che avrebbe sostituito il metallo dato alla Patria, nelle case comuni iniziò la curiosa ‘guerra dei coppini’ con sotterramenti segreti di posate, pentole e attrezzi domestici, generando, manco fosse presente un tradimento di coppia, delle furibonde liti coniugali...>>
(Rif. Pagina 85)
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