I FANS
Si può pensare che un disco non si attenda: un disco si compra, si ascolta, si apprezza; un disco si può conservare, prestare, regalare, ascoltare e riascoltare, ascoltare e studiare, giudicare forse, ma sicuramente attendere un disco è solo una cosa da fan. Ed in realtà la vita di un fan è fatta in gran parte di attese: i fans aspettano che esca il disco, ma dopo aspettano anche di poter assistere almeno ad un concerto. Il giorno del concerto aspettano in piedi per ore ed ore che questo inizi e, quando finisce, si inizia ad aspettare la prossima volta; i fans ci credono, loro le vivono in modo totale ed assoluto queste cose, soprattutto le vivono sempre.
(Rif. Pagina 26)
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IRRAGGIUNGIBILE
Decisi che dovevo andare da lui. Dovevo assolutamente dirgli che anche lui aveva bisogno delle persone che gli compravano i dischi così come noi ne avevamo di lui. Presi più volte in considerazione l’idea di scrivergli, ma ero convinta che fosse inutile e che le lettere non gliele facessero leggere; in parte mi sbagliavo: molte lettere le leggeva, ma non mi sono mai pentita di non avergliene mai spedita una.
Parlargli, non solo sentirlo cantare come bastava agli altri.
Ma la mia vita di adolescente fatta di crisi di incomprensione era lì, in quel quartiere angoscioso, tra le mura di quella scuola scomoda, per le strade di una città ancora sconosciuta.
La mia vita era un mondo che non era il suo ed io non potevo essere come le persone che lo frequentavano. Ero una bambina che tra le lacrime sussurrava che per lui avrebbe fatto qualunque cosa, ma poi, anche solo uscire di casa da sola, diventava un problema, l’autobus mi raggelava il sangue. Per strada non alzavo mai lo sguardo, evitando sempre di guardare in faccia le persone temendo di incontrare i loro sguardi. Correvo perché ogni attimo in meno fuori casa da sola, era un attimo in più lontano dalla gente. E qualche anno dopo ero ancora un po’ intimorita su quel treno che mi portava, sola, dove lui non era.
(Rif. Pagina 33)
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AMICHE
Registrai il disco in una cassetta e comprai delle cuffie auricolari per il walkman. Così io e la ragazza dal nome straniero potevamo andarcene a passeggio a braccetto con il walkman dentro una tasca e un auricolare ciascuna, nascosti tra i capelli. In quel modo anche camminare tra la gente era diverso, più bello, perché la gente non vedeva cosa ci univa, ma ci vedeva unite, insieme, senza che si potesse conoscere cosa ci legava. Tutti vedevano noi due e intuivano la nostra amicizia, invidiavano apertamente la nostra complicità, ma non capiva nessuno che eravamo in tre a camminare appiccicati tra la folla del corso principale della città, con lui che dalla tasca parlava a noi e con noi, insieme, in due microscopiche cuffiette ricoperte di sottilissima gommapiuma, nascoste dai capelli, nell’orecchio sinistro di una e nel destro dell’altra.
(Rif. Pagina 59)
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PRIMA VOLTA
... io ora ero di fronte a lui. Senza riuscire a vederlo. Come non ci fosse. Come io non fossi lì… lui era vero e si muoveva e parlava accanto a me. Scherzava, toccava, guardava, sorrideva. Abbracciava, baciava, si lasciava abbracciare e baciare ... Io lo osservavo senza muovere un muscolo: pietrificata al suo fianco assistevo alla sfilata disordinata di affetto che lui accoglieva come se da tempo non aspettasse altro che quel momento, come se sentisse nella gioia evidente di tutte quelle persone, l’amore di anni senza pretese.
Completamente persa in quell’immensa luce bianca, lo guardavo cercando dentro di me un sentimento a cui poter dare un nome; lo sentivo parlare implorando me stessa di trovare anche una sola parola da dirgli; mi detestavo per l’incapacità di qualunque gesto, ma sentii che, se anche ne avessi avuto la forza, non avrei mai trovato il coraggio di abbracciarlo, di raccontargli quella mia vita con lui, di toccare il suo viso appena rasato, di dirgli che, non sapevo bene come fosse potuto succedere, ma gli volevo bene.
Seppi in quel momento che non glielo avrei detto mai, ma solo dopo anni che lo avrebbe sempre saputo.
(Rif. Pagina 71)
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EPILOGO
Avevo creduto di amare lui come un fratello, un amico, ed avevo amato davvero le sue grandi mani, i suoi occhi e quel modo di guardarmi; l’avevo amato nella sua sfacciataggine, nella sua sincerità; l’avevo amato nell’adorazione di platee conquistate dal suo carisma. Avevo creduto di amare il fatto che esistesse perché mi aveva dato una ragione per camminare, perché mi aveva permesso di conoscere me stessa e tante persone importanti per me, perché mi aveva insegnato a volere bene ed a volermene, perché mi aveva fatto capire che la paura di crescere non esiste.
Avevo creduto di amare le sue canzoni perché mi appartenevano, perché mi accompagnavano, perché erano le canzoni più belle.
Tutto questo era, ma derivava dall’occulto movimento della sua bocca, ciò che era nella sua voce ma non era parola; silenziosa melodia...
(Rif. Pagina 105)
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