Prologo
Intorno al 1100 a.C., tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio di quella del ferro, in un`ampia area del Lazio, vivevano i Volsci. Un popolo di pastori, orgoglioso e fiero, sempre pronto alla battaglia; indomito, tanto da riuscire a resistere per molto tempo alla furia dei Romani, prima di essere inghiottito dalla storia. Proprio in quegli anni, quando in terre lontane si compiva il destino di Troia, nella valle del Sacco, in pieno territorio Volsco, lì dove gli Ausoni declinano a nord verso la pianura, inizia la storia di una principessa di nome Camilla. Una storia fatta di coraggio, sacrificio e amore.
(Rif. Pagina 1)
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Re Metabo
La nostra storia inizia una notte di venti anni prima. Pioveva a dirotto. A intermittenza i lampi illuminavano di una luce sinistra la piccola valle e Scurtus, il cane di Antonio, iniziò ad agitarsi e abbaiare insistentemente.
«Antonio..! Sveglia! Il cane sta abbaiando troppo, c’è qualche cosa che non va!»
Arisia, immersa tra paglia e pelli di montone, svegliò bruscamente Antonio che, alquanto infastidito, rispose:
«Che c’è!?.. Dormi, moglie!»
«Antonio! – insistette la moglie, alzando il tono - Il cane è troppo agitato, vai a controllare. Magari è qualche volpe, o addirittura qualche lupo che vuole insidiare le nostre pecore, o peggio: i predoni…»
Aggiunse poi in tono supplichevole:
«Ho paura, vai a controllare, ti prego»
Quest’ultima frase di Arisia risvegliò il senso di responsabilità del pastore e lo spinse, acceso il lume, a indossare i calzari, agguantare malvolentieri le pelli di montone da usare per riparasi dalla pioggia e a uscire brontolando in piena notte. Uscito, alla luce intermittente del lampi, parve ad
Antonio di scorgere una figura umana. Gridò allora a squarciagola, per sovrastare il frastuono della pioggia e dei tuoni:
«Chi è la? Vieni fuori!»
Fu allora, tra la luce di un lampo e il propagarsi del suo tuono, che udì un vagito di bimbo e vide stagliarsi nitida, non lontano da lui, la figura di un uomo.
«Aiuto! Soccorso! - gridava con voce rauca. - Aiuto, non per me, ma per la mia creatura, mia figlia!»
Tutti inzuppati e infreddoliti, finirono in casa, sul tronco spianato e levigato che fungeva da panca, davanti al fuoco attizzato in fretta da Arisia. Poco dopo, rinvigorito dal calore del focolare, lo stremato straniero iniziò il suo racconto. Metabo, questo era il suo nome. Era un volsco di mezza età, spalle larghe, braccia tozze e muscolose, un piglio guerriero, barba scura e fluente. I suoi profondi occhi neri ardevano come fuoco; nonostante le evidenti privazioni, il suo sguardo altero emanava lampi d’orgoglio e superbia smisurati.
(Rif. Pagina 10)
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Antonio lascia che Camilla segua il proprio destino
la fanciulla era affascinata dalla determinazione e dalla forza mostrata da suo padre. Da giovani si può essere coraggiosi, non saggi; generosi, non prudenti. Camilla era tanto soggiogata dallo spirito
guerriero di Metabo che lo avrebbe seguito persino nel regno di Plutone. Antonio, ormai rassegnato, era convinto che non poteva rimproverarsi nulla, né poteva biasimare sua figlia adottiva. In gioventù, lui stesso si sarebbe comportato così, ma nella sua vita aveva visto scorrere troppo sangue e non poteva certo approvare il futuro che Metabo proponeva a Camilla. Lei ancora ignorava il
terribile e nauseante vuoto che si sente dentro l’animo dopo aver lanciato eccitati, con in alto le braccia lorde di sangue, circondati da cadaveri, al termine della battaglia, il grido di vittoria.
(Rif. Pagina 32)
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Camilla la guerriera
«Arisia! Arisia! – gridò Antonio - Corri! Presto! Camilla è tornata!»
Con le lacrime agli occhi, baciò e abbracciò più volte la figlia che credeva ormai perduta per sempre. Come in una visione, in piedi, accanto il cavallo tenuto per le briglie, poggiata sulla lancia, la splendida figura di Camilla si stagliava contro il sole del tramonto. Era proprio lei, la stessa bambina che la notte addormentava con antiche nenie di mare.
Mille pensieri affollavano la mente di Antonio. Come era diventata bella sua figlia. Era cresciuta ancora. Era alta quasi quanto lui, irrobustita, ma ancora ben slanciata. I capelli neri legati dietro la nuca, abbronzata, gambe e braccia ben tornite e muscolose, sembrava Artemide in persona. Indossava una corta tunica bianca ormai molto impolverata. Aveva stretta in vita un`alta e robusta fascia di cuoio, che deliziosamente metteva in evidenza le sue forme; ai piedi calzari di pelle di montone con gambali e parastinchi in cuoio. Un lungo mantello nero pendeva dietro le sue spalle. Il suo armamento personale era completato da una corta spada di ferro, una fionda e un piccolo pugnale. Il cavallo era sellato con una coperta di pelle di uno strano animale mai visto dalle loro
parti. Antonio avrebbe detto che fosse di un enorme gatto selvatico, con il manto striato di giallo, bianco, arancio e nero. Pendevano dal cavallo una bisaccia di pelle di capra a doppia tasca, un otre in pelle ormai vuoto, un arco con la faretra ricolma di frecce.
Il pastore rimase in silenzio a rimirarla. Col fiatone arrivò subito dopo Arisia, che rimase senza
parole.
«Figlia mia, fatti abbracciare! Come sei bella, sembri la dea della guerra in persona. Ma questa cicatrice, cos’è? E un’altra ancora! Che t’hanno fatto? »
(Rif. Pagina 35)
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Camilla nella grotta della sanguinaria chiede lumi per il suo futuro
«Chiedo oracolo!»gridò Camilla.
«Chiedo fuoco e sangue!» Replicò la voce.
Antonio prese la pietra focaia e, con gesti rapidi e soffio leggero, diede fuoco all`esca.
C`era al centro della grotta di fronte all`altare una pozza di un liquido denso e nero, che il pastore infiammò. Le fiamme si alzarono alte e illuminarono intorno. La caverna era talmente ampia che non se ne scorgevano i limiti. Il forte fuoco dal fumo denso e acre riusciva ad illuminare solamente l`altare che sembrava sospeso nel buio. I lampi rossastri del fuoco si riflettevano sinistramente sui volti di Antonio, Camilla e della sacerdotessa. Da un mucchio agitato di stracci neri e logori uscivano, infatti, due mani luride e nodose con unghie ricurve e nere di putridume.
La vecchia allungò la mano verso Camilla. La ragazza porse, avendo cura di non toccarlo con le mani, il ramo di alloro che aveva conservato. La sacerdotessa prese di scatto il ramoscello, rimanendo con le braccia tese verso Camilla. Al bagliore rossastro del fuoco, la ragazza prese la sua spada con una mano e lentamente la passò di taglio sul palmo dell`altra. Una striscia vermiglia comparve immediatamente. Lasciò sgocciolare il sangue che sgorgava dalla ferita sulle foglie d`alloro. Rinfoderò la spada e strinse forte il pugno della mano ferita contro il lembo della sua tunica. La strega ritirò il ramo così bagnato e, staccandone le foglie una a una, iniziò a masticarle. Iniziò ad agitarsi sempre di più. A un tratto, si piegò su se stessa e iniziò a rantolare; poi, scattò in piedi e con sibilo emise la profezia.
«Il grande anno è alla fine.
La dea madre ha compiuto il suo tempo.
Sono finiti i riti di sangue,
la centesima luna è arrivata,
e tu sei Camilla,
figlia di Camilla,
figlia di Camilla.
Ultima di una stirpe di regine guerriere
degne figlie della dea madre.
Sul ventre tu hai posto una spada.
il tuo nome è già grande
e nei tempi così resterà.
Lotterai con la lupa,
ma stai attenta:
ai suoi figli nessuno attraversi la strada. »
(Rif. Pagina 85)
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