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La vita è una cosa seria

Sabrina Folcia

Protagonista de La vita è una cosa seria è la famiglia patriarcale. Cosa sopravvive di questa istituzione negli ultimi decenni del XX secolo? Non basta un uomo, per assicurare l`esistenza della famiglia patriarcale; non basta un padre severo e intransigente, che non esita a correggere le figlie con una sana dose di botte. Ci vuole anche una donna cresciuta con l`unico scopo di essere moglie e madre; una donna remissiva e condiscendente: la controparte naturale di quell`uomo. Insieme costituiscono una coppia fuori dal tempo, votata al sacrificio, come se vivere fosse già più di quanto meritassero. Il loro scopo non è la conservazione della sola specie, ma anche di un modello nel quale hanno trovato la propria realizzazione umana, e al di fuori del quale non riescono a concepire altro. Elisa, la figlia maggiore, lascia la casa a vent`anni. Sara, nata a distanza di tredici anni, resta sola. Cresce come l`unica figlia di due genitori già vecchi, più nel pensiero che per età. Sogna di andarsene di casa, seguendo l`esempio di Elisa, ma sa di essere troppo debole per fronteggiare le ire del padre; l`alternativa è sposare il primo uomo che dimostrerà di essere interessato a lei. La vita è una cosa seria è il primo romanzo di Sabrina Folcia.

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Dettagli

Libro: Bianco & Nero
Formato: 14,8 x 21 (A5)
Copertina: Morbida
Pagine: 189
Categoria: Narrativa
Editor: Photocity Edizioni
Lingua: Italiana
ISBN: 978-88-6682-010-9

Biografia

foto autore Sabrina Folcia
Sabrina Folcia non è il mio vero nome. Per firmare i miei romanzi ho scelto di utilizzare il cognome di mia madre, soprattutto per fare in modo che la mia attività di scrittrice non entri in conflitto con il mio lavoro.
In un certo senso è come avere una doppia identità: quasi nessuno al lavoro sa che scrivo romanzi. Sono nata a Milano nel 1973; "La vita è una cosa seria" è il primo romanzo che ho pubblicato.

Le sue opere pubblicate:

Stralci

10 Stralci

Primo capitolo

Ho rivisto Sara l’anno scorso, di questi tempi. Mi ha cercata lei dopo aver trovato il mio indirizzo di posta elettronica su internet. Ricordavo ancora l’ultima volta che ci eravamo viste: era l’estate del 1985 e io stavo per lasciare il piccolo centro di provincia nel quale avevo trascorso i primi tredici anni della mia vita. I miei compagni di classe mi avevano salutato con una serata in pizzeria, seguita da un giro in centro dove era in corso uno spettacolo all’aperto. A un certo punto Sara mi si era avvicinata, avvertendomi che un uomo tra la folla seguiva ogni mio movimento. Non mi aveva turbata tanto la consapevolezza che uno sconosciuto mi avesse presa di mira, quanto il fatto che a una mia coetanea fosse già nota la dinamica che porta certi uomini a insidiare le ragazzine. Lei sapeva qualcosa a me ancora ignoto, qualcosa che non solo apparteneva al mondo degli adulti, ma a una porzione di quel mondo fatta di bassi istinti da una parte e di profonda insicurezza dall’altra. Lei aveva paura per me, lo vedevo chiaramente. Sapeva cosa significava quel gioco del gatto col topo, e l’identificazione con la preda le veniva naturale. Fu questo il primo ricordo che affiorò alla memoria quando ricevetti il suo messaggio. A distanza di vent’anni rividi Sara nei panni di una ragazzina spaventata e compresi cosa aveva provato quella sera. E in chissà quante altre occasioni, pensai un attimo dopo. Mi chiesi che cosa fosse successo nella sua vita di bambina, perché un’allerta così vigile, una capacità tanto sottile di individuare tra la folla un uomo pericoloso non si sviluppano sulla base di una semplice teoria; dovevano essere il risultato di qualcosa di più incisivo che non le solite raccomandazioni della mamma di non accettare caramelle da sconosciuti.

(Rif. Pagina 5)

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