Rosso corallo.
Un pezzo che richiama la foto della copertina, fatta a Pechino nel 2004.
"Il rosso è il colore del corallo, è il colore della gioia, della bellezza. Di questo colore devono essere le labbra di una donna. E deve avere la bocca piccola, gli occhi rotondi e delicati piedi minuscoli." Questo mi ripeteva sempre Chen, a Xi An, quando andavamo a cena tra le bancarelle del mercato notturno. Guardava le ragazze, dietro i banconi con l`occhio pensoso del mandarino che sceglie le concubine per il figlio...Orgoglioso, ma pacato, con un atteggiamento di nobiltà nei modi e nella postura che non si impara, ma ci si porta dalla nascita. Parlava un italiano perfetto, con termini ricercati e precisi ed una pronuncia inusuale per un cinese, senza confondere la r con la l, imparato in una dura scuola e proseguita in anni trascorsi all`Ambasciata in Italia con compiti sfumati. Sceglieva le parole con cura e le diceva a voce bassa e suadente, guidandomi nella tortuosità dei contatti e dei complessi schemi di cortesia del suo paese. Rideva, ma sommessamente, dei miei tentativi di compitare qualche semplice carattere o mentre modulavo le diverse tonalità della pronuncia cinese. "Hai detto cavallo, non madre, signor An Li Ke." e mi correggeva con delicatezza. Sembrava sorridere della mia frustrazione di aver speso giorni in una estenuante trattativa per un impianto per produrre yogourth non andata a buon fine. Era come estraneo alla concitazione del business ed alla furia affaristica che percorreva il paese. Troppo nobile per farsi coinvolgere, troppo Tao per agitarsi per gli insuccessi. Lo turbava solo la bellezza delle foglie giovani del bambù, la nebbia azzurra che saliva sulle colline lontane, il pallido sole del tramonto, le carpe dalle scaglie dorate del lago, il rosso corallo delle labbra ed i piccoli piedi delle ragazze. Rimase poco con noi, di corsa in un mondo che gli apparteneva poco. Aveva mani lunghe e sottili Chen di Xi An.
(Rif. Pagina 65)
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Luna ingannatrice.
Uno scorcio di URSS degli anni i90
L`ingegnere capo Komarov era seduto davanti e ciondolava la testa, particolarmente allegro. Io e Ferox, dietro, con una valigia in mezzo che serviva anche d`appoggio per le lunghe ore di viaggio. La Zhigulì correva spedita lungo la strada deserta e gelata, circondata da interminabili foreste di betulle bianche, coperte di neve e ghiaccio. " Vedi, Koljia, tu non ti puoi rendere conto di come sia in Italia. E` un altro mondo, tutte altre possibilità. Noi qui viaggiamo per ore nel nulla e ci siamo portati dietro solo una scatola di cetrioli salati in composta; laggiù, quando vuoi ti fermi in certi posti lungo la strada che si chiamano Avtogrili e lì c`è tutto. Tutto quello che puoi sognare". "Ma come tutto?" gli occhi di Koljia sembravano due fessure. "Tutto. Ci sono le pompe della benzina; 10-20 pompe diverse e tu puoi prendere tutta la benzina che vuoi", "E sì, se conosci il responsabile delle pompe..." ridacchiò l`autista."No,no, tu ti fermi, dici -pieno- e ti mettono tutta la benzina che vuoi fino a che il serbatoio trabocca". " Ma non ha senso, allora tutti andrebbero con il bagagliaio pieno di taniche da riempire e non solo con una come noi!". "Ma testone, non servono le taniche; se te ne serve altra, ci vai domani" . "Ma ingegnere capo Andrej Ivanovic, allora non servirebbe neanche tenere la scorta a casa". "Appunto. Ma questo è solo l`inizio, se vai nel negozio, ci sono ricambi per tutti i tipi di macchine, che saranno più di dieci o venti in Italia" Il burijato ciondolava la testa per non contraddire il capo e intanto pensava ai tergicristalli tenuti gelosamente sotto il sedile per evitare i furti. "E poi il Restaurant, anche lì non ci sono solo thé e butterbrodi di cetrioli, ma puoi avere cosa vuoi, Coca Cola, patate, caffè, tutta roba buonissima e poi viene il bello. Non puoi uscire da dove sei entrato, ma devi fare un giro dentro tutto il Markiet, perché così ti viene voglia di comprare qualcosa, me lo ha spiegato Djanni che ci accompagnava"...
(Rif. Pagina 7)
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Sorgo rosso.
Una storia della Cina che cambia.
Ho conosciuto una guardia rossa. Quantomeno uno che ha dichiarato di essere stato una guardia rossa. Eravamo in una delle tante cittadine (1 milione di abitanti) anonime dell`HeBei. Polvere gialla e caldo umido che appiccicava i vestiti sulla pelle. Era piuttosto grassoccio, con occhi come fessure e sorriso da Buddha illuminato. Sorbiva il suo thé bollente con risucchi rumorosi mentre chiacchieravamo seduti su un divano di similpelle autentica slabbrato sugli spigoli. Aveva pantaloni larghi e sporchi di grasso, con una camicia informe aperta sul petto glabro. Gli ho chiesto come vedeva quel periodo, adesso che era passato qualche decennio. -Eravamo ragazzi...- e lasciava in sospeso la frase. Chiesi se ci furono molti morti a sua conoscenza. - Eravamo così giovani... e per i ragazzi è stato un periodo piacevole...- ribadì sempre con lo stesso sorriso indecifrabile. Non insistetti perché sapevo che se un cinese non ti risponde in modo diretto è considerato molto sgarbato ripetere la domanda e metterlo in difficoltà. Ciabattando ci fece visitare la sua azienda di costruzione di stampi. Un antro oscuro popolato di figure sudate che si aggiravano qua e là (senza ammazzarsi troppo a dire il vero). Quando lanciava occhiate oblique ai suoi dipendenti, lo sguardo perdeva quella apparente bonomia salottiera e vi si leggeva, profonda, una luce decisa e forse pericolosa. Non riuscimmo a concludere il contratto. Ci accompagnò all`aeroporto appena inaugurato, lucido di marmi, con la sua nuovissima Audi 6 nera coi vetri oscurati ed i sedili di pelle rossa. Non smise mai di sorridere.
(Rif. Pagina 37)
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Elogio dell`ignoranza.
Come la realtà supera la fantazia.
...Un mio caro amico, formidabile poliglotta, aveva cominciato a studiare il russo negli anni settanta durante il servizio militare. Era alle trasmissioni; così metteva a frutto le interminabili nottate solitarie di guardia davanti al telegrafo muto concentrandosi sulle tortuosità della grammatica zarista. Era una notte buia e tempestosa (direbbe il grande scrittore) e, nella pace assoluta della caserma, il nostro era alle prese con lo scoglio di un terrificante elenco di verbi di moto, perfettivi ed imperfettivi. Le pagine davanti a lui, data l`ora tarda confondevano l`elegante grafia cirillica di cui le stanche cornee sfumavano i contorni, quando, dietro di lui, inatteso, un fruscio silenzioso ed inaspettato giunse a turbare la concentrazione. Una mano si posò dura sulla sua spalla, mentre sentiva, appuntati sulla nuca, due occhi grigi, inespressivi ed indagatori che si sporgevano ad esaminare il libro. In quegli anni, nell`ambiente militare, studiare il russo di soppiatto era un interesse alquanto sospetto, certamente una cosa strana i cui fini erano da approfondire, specialmente se l’indagato era addetto alle telecomunicazioni. Si sentì gelare il sangue, annaspando alla ricerca di una spiegazione, ma prima dell`excusatio non petita, arrivò secca la domanda: "Ah! Cosa stai facendo?" Uno schiocco nel silenzio notturno. La gola gli bruciava, mentre cercava una risposta credibile ma neutra. Ne uscì una voce flebile e strozzata che gli grattava la gola. "Sto studiando..." Il graduato si sporse ancora in avanti, esaminando le pagine con attenzione; scorreva con calma l`elenco misterioso che dipanava le volute delle maiuscole cirilliche. Dopo qualche momento interminabile, scattò il giudizio, tranchant. "Bravo! Il greco è una lingua bellissima, l`ho studiato anch`io al liceo. Continua così." La pressione della mano si allentò e la presenza inquietante fu inghiottita dalle ombre della notte, da altri attenti controlli. Chissà, ci salverà l`ignoranza?
(Rif. Pagina 76)
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Panna e nocciola.
Una ricerca freudiana sulle compulsioni gelatarie.
...il carrettino schiacciava ancora un paio di volte la peretta di gomma fissata alla cornetta, pepeeee..., gridava gelatiiii come nei Giardini di marzo ed un gruppetto di ragazzotti vocianti gli si accalcavano attorno, tendendo le monete ed allungando il collo nel tentativo di vedere il fondo dei bidoncini di rame dove era contenuta la gelida delizia che avrebbe placato l`afa estiva per un po`. C`erano tre o quattro bidoncini, uno dei quali misto dei due gusti meno graditi, fragola e limone e due opzioni, il cono da 10 e quello da 20 lire. Una palettata o due e mezza, la giunta. Quando la clientela era stata servita quasi al completo, scendeva di corsa un altro ragazzo, che nel nostro immaginario era valutato come il bambino ricco e, brandendo in mano un bicchiere di vetro e un cucchiaino, ordinava: - Da 50, panna e nocciola -. Aveva dichiarato ufficialmente che il genitore guadagnava 100.000 lire al mese, cifra ragguardevole, ma a ben valutarsi non esagerata per i tempi, diciamo equiparabile a 2000 euro attuali. Fatte le proporzioni, il cono standard equivarrebbe oggi a 40 centesimi. Diciamo che adesso c`è più scelta nei gusti e i coni sono molto migliorati, ma che il plateatico del negozio incida così tanto, mi pare esagerato. Poi, dopo un altro pepeee ed un ultimo richiamo gelatiiii rivolto ad un inesistente ritardatario, il gelataio dava un paio di pedalate ed accendeva il motorino lasciandosi andare lungo la discesa. I due o tre pepeeee lontani, segnalavano come fosse giunto alla sosta successiva, da altri clienti. Però, che invidia, quel bicchierone colmo che il mio amico si centellinava a poco a poco, mentre sgranocchiavo la cialda del cono, rodendola per farla durare più a lungo, all`ombra della pompa pubblica dell`acqua salata curativa, che già allora era ridotta ad un esile zampillo. Sarà per quello che ancora adesso ho la tendenza ad ordinare sempre la coppa più grande del catalogo. E` una questione di dimensione storica.
(Rif. Pagina 164)
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