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Libro Bianco & Nero
Formato 14,8 x 21 (A5)
Copertina Morbida
Pagine 658
Editore Boopen
Lingua Italiana
ISBN 978-88-6581-142-9
Titolo provvisorio: Guerra!
di  Maurizio OM Ongaro
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Carissima, Se leggerai questa mia, vorrà dire che sono morto, in un modo o nell’altro. Un bell’incipit… non puoi negarlo. Magari non originale, però pieno di pathos. Ed, in effetti, mi sento pieno di pathos in questo momento. Ma, tutto sommato, mi sento anche particolarmente triste: devo ammetterlo. Triste perché se qualcuno mi chiedesse, (di là… in seguito… chissà dove e chissà come…) per che cosa son morto, mi toccherebbe sedermi e riflettere: seguendo il filo degli avvenimenti, dovrei dire che sono morto perché mandato, per errore burocratico ed anagrafico, a partecipare ad una missione di pace, che assomiglia maledettamente ad una guerra, in un paese che non conosco, che non mi ha fatto quasi nulla di male (almeno fino ad oggi, dopo l’arrivo di questa lettera un certo qualchecosina me l’avrà fatto, ma mi paiono quisquilie) per far sì che un gruppo di alleati, tra cui noi che però contiamo come il due di picche, possano per un certo periodo pagare la benzina un prezzo ragionevole e con essa tutte le cose con cui vengono trasportate. In pratica, son morto perché tu non debba far la coda al distributore. Per adesso: poi tra sei mesi la benzina riprenderà ad aumentare e ti rifarai la coda, come sempre. Con buona pace della mia anima. Insomma… se proprio debbo essere sincero, mi sembra un po’ pochino. Adesso non so che morte farò e sinceramente non mi par molto importante: so solo che i carristi, cui mi pregio di appartenere, muoiono atrocemente come tutti i soldati: bruciati, asfissiati, frantumati, sparacchiati, abbronzati dalle radiazioni. Poco importante adesso e poco importante anche quando leggerai questa mia. Sarà già accaduto e, Deo Gratias, bello che finito. È forse più importante saper come sono vissuto. Ed anche questo non lo so esattamente, adesso come adesso. So solo che nell’ultimo periodo della mia vita son stato risucchiato dal mondo militare sino a trovarmi ad aver sulle spalline i gradi da generale. Generale… sembrava tanto una figata, vero? Non più, oramai. Visto da lontano, dall’esterno, forse può sembrare una cosa gratificante. Però, se proprio debbo fare un piccolo bilancio, non solo non mi ha cambiato troppo la vita (però in compenso me la ha accorciata) e tra le cose più eclatanti che ho provato sotto la vita militare, grazie a questo grado, debbo solo ricordare che ho spesso fumato i miei sigari preferiti, bevuto il mio Cognac preferito, bevuto abbastanza spesso del buon caffè, solo perché ho potuto portarmeli da casa; poi, quasi sempre, ho dormito da solo, nel senso che non ho dormito in camerate, cuccette in comune con altri esseri umani. Insomma, tutte cose che quasi chiunque, nella vita civile ed a patto di far parte di quel sesto di popolazione mondiale privilegiata per casualità di nascita, può far quasi regolarmente anche tutti i santi giorni. Sempre un po’ pochino, non trovi? Ma al di là di queste cazzatine epicuree, irrilevanti ma purtroppo le uniche mi vengono in mente in questo momento (e dire che ci ho rimuginato su parecchio), mi chiedo sempre di più non solo chi me l’ha fatto fare (quello lo so, La Patria) ma chi lo ha fatto fare a tutti quelli intorno a me o già morti o che magari moriranno con me e, hai visto mai, per me. Mi sento davvero fuori posto, qua! Non solo perché non ho alcuna preparazione a codesta vita; ma anche perché mi tocca dover far i conti con la quotidiana realtà, che continua a ripetermi pedissequamente la fatidica domandina: perché? Perché ho ucciso, o fatto uccidere, così tante persone, che non ho mai conosciuto, che non mi hanno quasi fatto nulla? Perché ho mandato a morire così tante persone, proprio come me, che parlavano oltretutto la mia lingua? La risposta è ovvia. Perché obbedivo agli ordini, perché era il mio dovere, perché qualcuno deve pur farlo, ed io ero in quel momento quel qualcuno, perché noi siamo i buoni ed i cattivi sono gli altri. Infantile, vero?
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